Forse un tempo la parola richiamava il concetto di “rendere pubblico”. In qualche modo la pubblicità dovrebbe informare.
Oggi wikipedia dice:
“Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.”
In sostanza oggi, tranne rare eccezioni, la pubblicità plagia, non informa. Cerca di rendere appetibile, attraverso i nostri istinti, la nostra psiche e la nostra cultura, cose che altrimenti non lo sarebbero. E il fine di questo lavoro, non è avere una società più giusta o un miglioramento della vita delle persone o qualche altro nobile (seppur discutibile) intento. Il fine è un tornaconto immediato per l’inserzionista.
A volte non è nemmeno necessario invogliare all’acquisto di un prodotto. Basta che sia instillato il comportamento o la falsa necessità: prima o poi il consumatore comprerà anche il mio prodotto.
Per questo motivo penso che la pubblicità sia pericolosa per i bambini, molto più di qualsiasi “storia” di violenza, sesso o altro. Le storie hanno un inizio e una fine, possono essere rielaborate, discusse, condivise, possono essere viste sotto vari livelli, possono anche essere messe in un mondo fittizio che non interferisce con la mia vita normale. Ma la pubblicità no. L’oggetto che viene reclamizzato lo vedo, è lì sullo scaffale. La pubblicità mi dice che io ho bisogno di quella cosa, di quel servizio. Facciamo così cose assurde. Ne parlerò in altri comizi.
ilcomiziante
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