Ieri (direi oggi) verso mezzanotte mi è capitato di vedere un pezzo di Tatami. Il tema era:
Perché chi è diverso da noi ci fa paura?
L’Italia e i Rom a confronto sul “tatami” di Camila Raznovich
Brava la conduttrice nel gestire le varie opinioni e le varie emotività certamente non facili.
Gli interventi erano prevedibilmente schierati fra posizioni intransigenti/razziste e tolleranti/integrazioniste. Alcuni servizi per smontare il luogo comune del ROM fannullone e ladro, le esperienze nella vita reale, fra campi nomadi da delirio e furti nelle case. Da questo punto di vista nulla di nuovo, per me, in quanto a informazioni.
Eppure ieri ho avuto un’illuminazione. Potevo sostituire la parole ROM/zingaro e sostituirla con povero/emarginato/escluso/extracomunitario che tutti i discorsi dei partecipanti continuavano ad avere senso compiuto. Il problema, evidentemente, non era il ROM in quanto tale, ma il ROM in quanto povero ed emarginato. In altre parole: il problema è che esistono persone povere ed emarginate e queste danno fastidio.
E allora la soluzione al problema dei ROM si faceva concettualmente facile: costruire meccanismi sociali che impediscano la creazione (e la persistenza) della povertà. Infatti la sola costruzione di aree attrezzate per i campi nomadi ha dato scarsi risultati: che ci fai col campo attrezzato se non hai un lavoro e non vai a scuola e non puoi curarti? Ma questi meccanismi, evidentemente, non ci sono o sono molto deboli e tutte le soluzioni, anche quelle fasciste, si dimostrano assolutamente inefficaci (il campo si sposta, ma rimane povero ed emarginato).
Forse ero assonnato, ma non mi sembra che questa visione globale al problema sia stata presente fra i partecipanti del programma. Peccato, sarebbe stato lo spunto per un’altra puntata.
ilcomiziante