Venerdì scorso Mantellini lanciava il sasso… e apriva i commenti. Il post non merita, i commenti sì, soprattutto le argomentazioni di Alessandro (Gilioli) e le repliche.
L’argomento è questo: l’informazione professionale è in crisi, i giornali chiudono o rivedono in modo drastico il loro modo di proporsi al pubblico, con conseguente crisi occupazionale. Murdoch e De Benedetti pensano che gli utenti non debbano più avere notizie gratis (via web). I due differiscono nell’idea di prelievo che hanno: chi legge paga (Murdoch), la società tutta paga (De Benedetti) perché l’informazione è un bene collettivo. Altri (anche Mantellini) pensano che vada trovato un modello di business innovativo, tagliato su misura sul web e sull’informazione.
Io dico la mia da utente, che magari serva a qualcuno di questi luminari per capire qualcosa e inventare i nuovi modelli di business del futuro.
Mai e poi mai pagherei per un sito alla Repubblica-Corriere et similia. Per due ragioni: le informazioni che ci sono si trovano ovunque (almeno la maggior parte) e la qualità è scarsa. Non parlo solo della qualità dell’articolo (si trovano articoli che urlano vendetta) o della notizia (quanto pettegolezzo c’è nelle pagine principali dei giornali?), ma anche la grafica del sito e l’arroganza di chi scrive (niente pochi link a siti esterni, nessuna poche possibilità di commento della notizia, nessuna smentita, correzione o ripensamento sulla boiata che scappa, tanta spocchia). Perché mai dovrei pagare per un prodotto che non mi piace? Certo, guardo questi siti, ma come guardo la televisione mentre stiro. Se dovessi pagare, sentirei la radio o penserei all’universo.
Pago invece, e volentieri, per l’informazione che ritengo degna di questo nome (Peacereporter, Radie Resch e occasionalmente pochi altri). Pagherei, per un sito che mi piace, per non visualizzare la pubblicità. Sarei disposto a fare una microdonazione (<50 centesimi) per l’articolo che ho letto e trovato molto interessante. Forse pagherei per avere servizi supplementari e approfondimenti (il giornale in pdf, il libro relativo all’inchiesta: Travaglio docet). Ok anche per la pubblicità, purché questa non affoghi la notizia e renda il giornale succube dell’inserzionista. I finanziamenti pubblici dovrebbero aiutare l’avvio dell’impresa editoriale, ma dovrebbero poi ritirarsi. Se un giornale non lo legge nessuno e nessuno lo vuole pagare, è un giornale che non serve. (O no?)
Questo da parte del lettore anomalo che sono.
Siccome mia figlia mi insegna che bisogna avere un’idea su tutto, dico la mia anche su come dovrebbe essere l’editore di domani. Abbattere i costi non significa sottopagare il giornalista. Però forse un giornale potrebbe esistere senza avere un ufficio: il giornalista o è per strada a raccogliere le informazioni o è dietro un pc a scrivere, cosa che può fare tranquillamente ovunque, anche da casa. Parlo a vanvera, visto che non conosco personalmente nessun giornalista, però mi vengono in mente Report o Attivissimo, che con costi bassissimi riescono a fare, anche amatorialmente (Attivissimo), ottima informazione (e sempre Attivissimo riesce a raccogliere i fondi per progetti più grandi). Forse l’editore del futuro dovrà scordarsi i grandi guadagni (e potere) del passato e assomigliare più ad una bottega di artigiani, che riesce a trovarsi i suoi lettori per vivere dignitosamente. O forse questo è quello che mi auguro.
Rispondo anche alla domanda di Gilioli: “l’editoria professionale è o non è un valore di cui la società ha bisogno?” Sì, è un valore, ma tenerla in vita artificialmente (con estorsioni più o meno coatte) non mi sembra una grande idea. La società deve darle le strutture idonee (leggi anti trust, sulla libertà di stampa, eccetera), ma non credo si possa ragionevolmente tenere in vita una cosa che non si usa o di pessima qualità. Gli attuali finanziamenti pubblici all’editoria mi sembra insegnino molto sulla questione.
Buona riflessione.
Aggiunta da PI:
De Benedetti, un fiorino per le news
In gioco ci sarebbe la sopravvivenza stessa di un giornalismo di qualità. Il presidente del gruppo L’Espresso lancia una personale proposta: far pagare un obolo agli operatori internet e ai fornitori di connettività
di Mauro Vecchio
Aggiunta 01/10/2009 (via Mantellini):
Il futuro dei giornali? Va cercato altrove
di Maurizio Boscarol
Dove si presentano le tesi di Clay Shirky, uno che, su queste cose, ci lavora a tempo pieno. Lungo, ma interessante. Da leggere.