I luoghi hanno un profumo che persiste negli anni e le abitazioni ne hanno uno loro particolare.
La casa dei miei nonni non fa eccezione ed è molto particolare. Costruita nel 1775 nel comune di Mondavio con solo mattoni, pietre e calce era destinata ai contadini e dal xxx vi hanno abitato i miei nonni mezzadri.
Nei bei tempi andati la vita non era facile. Poiché la casa è stata ristrutturata dai miei genitori e da mio zio fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ricordo bene alcune comodità prima dei lavori. L’acqua proveniva da un pozzo vicino a casa, che pescava la prima falda disponibile, a pochi metri sotto terra. Era potabile? E chi lo sa? Una parvenza di acqua corrente in casa la si faceva con una vasca di raccolta sotto il tetto e una pompa elettrica che la riempiva, ma era già una gran comodità. Prima la si andava a prendere col secchio direttamente al pozzo. Lo scaldabagno non esisteva, anche perché non esisteva il bagno. No, non c’era il bagno fuori, a meno che quattro assi di legno che davano un minimo di riservatezza e un sedile in diretta comunicazione con il letamaio sottostante si possa chiamare bagno. L’elettricità, al primo temporale, spariva. Telefono al bar più vicino. Niente lavatrice, ovviamente. La lavastoviglie era fantascienza e ricordo ancora lo stupore di mio cugino quando la vide la prima volta a casa nostra, a S. Donato. Di notte, assieme al soffitto, si ammiravano i suoi buchi, che in caso di pioggia simulavano l’evento atmosferico anche dentro casa. Unico riscaldamento disponibile: un camino e una stufa-cucina. Fuori: terra e campi. Con la pioggia: fango e campi bagnati. Galline che razzolavano libere. Terra ed escrementi di gallina. Dimenticavo: finestre piene di spifferi, nessuna zanzariera.
Prima della ristrutturazione al piano terra vi era una cantina, una stalla grande e una stalla piccola. A lato sulla destra, le scale, probabilmente aggiunte dopo la costruzione della parte centrale, portavano (e portano ancora) al piano superiore, dove si trovavano una camera, una cucina con camino e una seconda camera. Sul lato destro della casa la “capanna” che oggi si chiamerebbe “garage” ma che allora aveva il tetto di canne di bambù, da cui il nome, e si usava per riporre attrezzi e mangime. Nel cortile antistante la “foragera”, piccola costruzione degli anni ’50 adibita allo stoccaggio del foraggio e, sul retro, all’allevamento degli animali come conigli e galline. Quando mio nonno andò in pensione la “foragera” venne usata come laboratorio per riparare le macchine da cucire e la “capanna” divenne il garage.
Con la ristrutturazione, durata un decennio, le cose migliorarono molto. La capanna venne rifatta e ora è la parte più solida e recente dell’edificio. Venne rifatto il tetto, vennero aggiunte le zanzariere d’estate e le seconde finestre d’inverno, venne portata l’acqua corrente, calda e fredda, gas metano, termosifoni, telefono, lavatrice. Le stalle vennero tolte e al loro posto vi fu fatto il bagno e la cucina col camino, così da avere, al piano superiore, tre comode stanze. Le galline vennero messe in un recinto e davanti a casa venne posta della ghiaia. I miei nonni, nel frattempo, andarono in pensione ancora relativamente giovani; iniziarono a lavorare a 14 anni ed ebbero la fortuna di aver pagati i contributi previdenziali dal “padrone”. Poterono così godere di un ampio giardino e un ampio orto attorno a quello che divenne la loro casa per la vecchiaia.
A dire il vero la casa e il terreno attuali non erano dei miei nonni, era tutto del “padrone” che dava loro lavoro. Vennero ceduti, a mo’ di liquidazione, ai miei nonni nel xxx, anche con l’aiuto di metodi non proprio ortodossi da parte di mio nonno.
Io e la mia famiglia passammo quasi tutte le nostre vacanze estive in questa casa, fino alla morte dei nonni avvenuta nei primi anni ’90. Noi bambini avevamo la “mora” (gelso) che era la nostra astronave-rifugio-pensatoio e il carro di legno, recente antenato dell’auto, parcheggiato in giardino, anche lui adatto per sceneggiare avventure. Gli attrezzi da lavoro della ristrutturazione e i rottami nel retro della casa li usavamo per simulare spade, scudi e costruire pannelli e pulsantiere fantastiche. Avevamo cugini per giocare e litigare. Si viveva per un mese senza scarpe e semi nudi. Era impossibile fare qualsiasi lavoro di scuola.
Dalla morte dei miei nonni sono ritornato in quella casa solo nel 2000 e quest’anno, mentre i miei genitori vi passano ogni anno parte delle vacanze estive. Ci sono ritornato con Lacomizietta, le ho raccontato alcuni aneddoti, fatto vedere i miei luoghi dell’infanzia, anche se era più per ricordarli a me che per raccontarli a lei, persa nel suo mondo. Molte cose sono cambiate dalla mio giovinezza: la casa avrebbe bisogno di una seconda ristrutturazione, molti gelsi sono morti, il carro di legno non c’è più, i teneri arbusti piantati da mio nonno sono cresciuti molto, attorno i campi sono diventati terreni edificabili. Ma la casa non ha cambiato il suo odore fatto di mattoni, di terra, di polvere, di paglia, di fieno, di terra umida, di muffa, di ragni e scorpioni e, se non fossero passati ormai quasi vent’anni, oserei dire che ancora vi aleggia l’odore dei miei nonni. E poiché quell’odore io l’ho respirato quando ero un bambino prima e un ragazzo poi, quell’odore è l’odore della vacanza estiva e dei giochi passati. Nulla li evoca meglio di quell’odore, più di qualsiasi foto o racconto. Conscio che quel periodo spensierato e avventuroso non riverrà più, forse è per questo motivo che, in vent’anni, sono ritornato in quella casa solo due volte e per chi mi accompagna il luogo non ha nessuna attrattiva particolare.
E’ stato bello rievocare il passato, ma il passato sa anche essere molto ingombrante e non so se lo vorrò rifare ancora.