Spero di non violare eccessivamente il copyright della Boringhieri. Se qualcuno si lamenterà sostituirò il pezzo con un mio comizio che dirà con parole diverse più o meno le stesse cose.
Buona lettura.
(Corsivi nell’originale)
Albert Einstein
Pensieri degli anni difficili
Bollati Boringhieri, 1965
Traduzione di Luigi Bianchi
1939, SCIENZA E RELIGIONE
Durante l’ultimo secolo, e parte del precedente, fu convinzione generale che esistesse un insanabile contrasto fra la conoscenza e la fede. Nelle menti più evolute prevalse l’opinione che fosse tempo che la fede venisse sempre più ampiamente sostituita dalla conoscenza; la fede che non riposava naturalmente sulla conoscenza era superstizione, e in quanto tale doveva essere combattuta. Secondo questa concezione, l’unica funzione dell’educazione era quella di aprire la via al pensiero e alla conoscenza, e la scuola, in quanto organo principale dell’azione educativa, doveva servire unicamente a questo scopo.
Solo raramente si incontrerà, seppure, espresso in una forma cosi grossolana il punto di vista razionalistico; giacché di una tale formulazione ogni persona sensibile vedrebbe subito la unilateralità. Ma è legittimo formulare una tesi in termini rigidi e ridotti all’essenziale, se si vuole chiarire il proprio pensiero riguardo alla sua natura.
È vero che le convinzioni possono essere meglio sostenute dall’esperienza e da chiare riflessioni. Su questo punto si deve essere incondizionatamente d’accordo con i razionalisti più radicali. Il punto debole di questa concezione, tuttavia, sta nel fatto che le convinzioni necessarie e determinanti per il nostro comportamento e per i nostri giudizi non possono essere trovate semplicemente seguendo questo concreto modo scientifico.
Il metodo scientifico, infatti, non ci può insegnare nulla oltre al modo in cui i fatti sono collegati e si condizionano tra loro. L’aspirazione .a una tale conoscenza oggettiva è una delle più elevate di cui l’uomo sia capace, e certo non mi sospetterete di voler sminuire le conquiste e gli sforzi eroici dell’uomo in questo campo. Eppure è ugualmente chiaro che la conoscenza di ciò che è non apre direttamente la porta alla conoscenza di ciò che dovrebbe essere. Si può avere la conoscenza più chiara e più completa di ciò che è, e tuttavia non riuscire a dedurre da questa quale dovrebbe essere la meta delle nostre aspirazioni umane. La conoscenza obiettiva ci fornisce strumenti potenti per la conquista di certe mete, ma il fine ultimo e il desiderio di raggiungerlo devono nascere da un’altra fonte. A questo proposito non è quasi necessario ricordare che la nostra esistenza e le nostre attività acquistano significato in esclusiva dipendenza dalla determinazione di una tale meta e dai valori che le sono collegati. La conoscenza della verità è di per sé meravigliosa, ma la sua attitudine a guidarci è cosi modesta, che essa non può fornire giustificazione e valore neppure alla stessa aspirazione alla conoscenza della verità. Ci troviamo qui di fronte, cosi, ai limiti della concezione puramente razionale della nostra esistenza.
Non si deve però supporre che il pensiero intelligente non possa avere alcuna funzione nella formazione del fine e dei giudizi etici. Quando ci si rende conto che per il raggiungimento di un certo fine sarebbero utili certi mezzi, i mezzi stessi diventano per ciò stesso un fine. L’intelligenza ci chiarisce la relazione esistente fra mezzi e fini. Ma il semplice pensiero non può darei il significato dei fini ultimi e fondamentali. Chiarire questi fini e questi valori fondamentali, e ancorarli strettamente alla vita emotiva dell’individuo, mi sembra sia proprio la funzione più importante che la religione deve compiere nella vita sociale dell’uomo. E se ci si domanda di dove derivi l’autorità di tali fini fondamentali, dato che questi non possono essere stabiliti e giustificati semplicemente dalla ragione, si può rispondere soltanto cosi: essi esistono in una società sana come potenti tradizioni, che agiscono sul comportamento e le aspirazioni e i giudizi degli individui; essi esistono, cioè, come qualche cosa di vivo, senza che sia necessario trovare la giustificazione della loro esistenza. Essi nascono non da una dimostrazione ma da una rivelazione, grazie alla mediazione di forti personalità. Si deve tentare non di giustificarli, ma piuttosto di sentirne la natura con semplicità e con chiarezza.
I principi più alti che stanno alla base delle nostre aspirazioni e dei nostri giudizi ci sono indicati dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana. Si tratta di una meta molto alta che, con le nostre deboli forze, possiamo raggiungere solo molto imperfettamente, ma che fornisce un sicuro fondamento alle nostre aspirazioni e alle nostre valutazioni. Se si dovesse spogliare questa meta della sua forma religiosa e considerarla semplicemente da un punto di vista umano, si potrebbe forse enunciarla in questo modo: sviluppo libero e responsabile dell’individuo, in modo tale che egli possa porre liberamente e volentieri al servizio dell’umanità tutte le sue facoltà.
Non vi è posto in questa concezione per la divinizzazione di una nazione o di una classe, per non dire di un individuo. Non siamo forse tutti figli di uno stesso padre, come si dice nel linguaggio religioso? Anzi, anche la divinizzazione dell’umanità, in quanto totalità astratta, non sarebbe nello spirito di questo ideale. Soltanto all’individuo viene assegnata un’anima. E l’alto destino dell’individuo è servire anziché dominare o imporre sé stesso in una qualsiasi altra maniera.
Se si guarda alla sostanza invece che alla forma, allora si possono considerare queste parole anche come l’espressione della posizione democratica fondamentale. Il vero democratico non può adorare la propria nazione come non lo può l’uomo religioso, inteso come si è detto.
Qual è allora, in questo quadro, la funzione dell’educazione e della scuola? Aiutare i giovani a crescere in uno spirito tale che questi principi fondamentali siano per loro come l’aria che respirano. L’insegnamento da solo non può conseguire tale risultato.
Se si tengono ben chiari in mente questi alti principi, e li si paragona alla vita e allo spirito dei nostri tempi, appare evidente che l’umanità civile si trova attualmente in un grave pericolo. Negli stati totalitari serro i governanti stessi che di fatto lottano per distruggere questo spirito di umanità. Nelle regioni meno minacciate si tratta del nazionalismo e dell’intolleranza, come pure dell’oppressione dei singoli individui mediante strumenti economici, che minacciano di soffocare queste preziosissime tradizioni.
La consapevolezza, tuttavia, di quanto grande sia il pericolo va crescendo fra le persone che pensano, e vi è una diffusa ricerca dei mezzi con i quali fronteggiarlo, nel campo della politica nazionale ed internazionale, della legislazione e dell’organizzazione in generale. Tali sforzi sono senza dubbio estremamente necessari. Eppure gli antichi sapevano qualche cosa che, pare, noi abbiamo dimenticato. Tutti i mezzi finiscono per essere soltanto degli strumenti inadeguati, se non hanno dietro di sé uno spirito vitale. Se, invece, il desiderio di conseguire la meta è vivo e potente in noi, allora non ci mancherà la forza per trovare i mezzi atti a raggiungere la meta e a tradurla in atto.