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L’era dell’abbondanza e la mancanza di desiderio

domenica 20 agosto 2017

In questi giorni di caldo ferragostano ho ceduto al lato oscuro della forza e mi sono iscritto a spotify, giusto per curiosità. In pochi click ho ascoltato una nuova autrice segnalata da Lacomizietta e mi sono risentito The Joshua Tree, che ho il vinile ma è rovinato. Tutto molto bello, ottima qualità del suono, pubblicità sopportabile.

A questo punto ho propinato un piccolo comizio alla Comizietta, cosa che non ha disdegnato, perché ho raccontato il com’ero, il com’eravamo noi, solo pochissimi anni fa.

Pochissimi anni fa non era possibile portarsi a spasso un catalogo sconfinato di musica. La musica non era subito disponibile. Se volevi sentire un album dovevi alzare le chiappe dal divano e andare in giro per negozi. Ricordo una ricerca durata mesi di un CD di Roberto Gatto, che avevo sentito live, per poi scoprire che non mi piaceva. (Avevo scoperto che la musica dal vivo era meglio di quella registrata.) Una volta acquistato l’album dovevi metterlo nell’apposito lettore. Poi dovevi alzarti a girare il vinile, la cassetta o a cambiare CD.
La musica portatile era di bassa qualità. In auto, chi aveva l’autoradio, aveva decine di cassette, che a volte si rompevano, si deformavano col caldo, il nastro si attorcigliava, si consumava da quante volte veniva ascoltato.
La musica era pesante e finita. Quanti LP potevi avere in casa? 10? 100? 1000? Meno di spotify o di qualsiasi altro servizio di streaming, sicuramente.
La musica non era portatile come la intendiamo oggi, almeno fino alla metà degli anni ’80, con i primi walkman. (Papi, ma come era grande un walkman?)

Succedeva quindi che una volta raggiunto l’agognato supporto, questo veniva utilizzato al meglio. Ricopiato su cassetta, chi poteva, e ascoltato per intero, senza interruzioni o salti. Un album lo si imparava a memoria, quasi.

Questa facilità di fruizione vale ormai non solo per la musica, ma anche per i video (film o documentari o altro che siano) e i libri. Oggi tutto è a portata di click. Ascoltiamo di tutto, leggiamo di tutto, ma non ci appartiene nulla. Questi servizi, a meno di attività al limite del legale, non permettono di avere in mano nulla di duraturo in casa nostra. Nulla che possa superare una generazione e spesso neanche un cambio di hardware. Nulla che possa durare oltre il pagamento del nostro servizio o dell’attività commerciale del fornitore di turno.

A fronte di questi cambiamenti tecnologici e di fruizione, ormai irreversibili e tutto sommato buoni (tanto al prossimo cambio di tecnologia avremo altri problemi), è scomparso il desiderio profondo per un libro, un disco, un film. Una scomparsa che vedo molto più duratura dei servizi di streaming, perché ha a che fare con l’abbondanza e questa non penso possa diminuire, a meno di una guerra atomica, ma allora i problemi saranno altri. Una nuova cantante con un nuovo album? Due click su wwwpensacitu e ce l’hai. Ti piacciono solo due canzoni dell’artista? Ma perché mai sentire altro? Non dobbiamo nemmeno sforzarci di scoprire nuovi interessi, frequentando altre case o persone o magari semplicemente un altro blog: ogni servizio di streaming o di vendita ci propone il brano successivo. Come possiamo desiderare ardentemente di leggere o ascoltare qualcosa di nuovo se non dobbiamo fare nulla per usufruirne? Se non ne sentiamo la mancanza?

Io spero che le nuove generazioni siano capaci ancora di desiderare, di scoprire nuovi autori, nuove musiche non solo seguendo suggerimenti automatici. Che sapranno usare lo sconfinato mondo di sapere che avranno a portata di mano in modo più saggio di noi adulti a cavallo di due ere tecnologiche.

Addendum: Un mio post di tre anni fa: Giradischi.

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