È di questi giorni la polemica innescata da un tweet di Alessandro Laterza e allora mi sono fatto due conti in tasca e una mini riflessione.
In 10 anni ho letto 160 libri (a meno di errori per difetto). Il 71% libri di autori uomini. Il 24% autrici. Il 5% di autori e autrici.
Non ho mai rifiutato di leggere un libro a causa del genere dell’autore, semmai è avvenuto il contrario con la fantascienza, dove le donne sono poche e la mia curiosità mi ha spinto alla lettura. Ho sempre letto per curiosità, anche autori distanti dal mio sentire, come la Miriano e Fabio Volo, e ho letto per piacere. Non rinuncerei mai a questo criterio per adeguarmi a un femminismo di facciata. Non ho mai notato una differenza sostanziale fra i contenuti di autrici e autori. Ho notato invece, molto di più, chi scrive bene e chi meno. Non ho mai sentito l’esigenza di dividere la mia lettura secondo categorie di genere.
Tutto a posto? No. Non ho dati alla mano, ma secondo i miei amici, da una stima a occhio, le pubblicazioni rispecchiano molto le proporzioni di genere delle mie letture. La cosa è singolare, certo, ma non sorprende. Se le case editrici pubblicano per vendere – e il capitalismo è una questione di potere – e gli uomini sono la maggioranza nei posti chiave (nell’editoria, ma anche fuori), giocoforza questi equilibri si riflettono in quanto pubblicato. Le case editrici su questa stortura potrebbero fare qualcosa? Non lo so. Forse, ma forse anche no, visto il mercato non floridissimo dell’editoria e i pochi lettori italiani. Per cambiare le cose sono necessari investimenti e andare contro corrente non sempre è economicamente vantaggioso. Sicuramente i premi letterari potrebbero fare molto, questo sì. Un occhio di riguardo alla questione di genere potrebbe innescare un ciclo virtuoso.
Nota per i curiosi: La polemica inizia qui, passa da Giulia Blasi, è transitata da Mantellini ed è finita su Repubblica.