Scrive il mio amico immaginario Carlo Paschetto:
Mentre il Covid mi ha rivoluzionato la vita costringendomi a terra, a lasciare l’auto in garage per mesi e a mettermi la mascherina anche per portar giù la spazzatura, c’è gente che quest’anno, indossando la stessa mascherina e facendo mille attenzioni al distanziamento sociale come me, si è presa un tumore, un infarto, si è rotta una gamba, ha avuto un incidente stradale.
Direte voi, come sempre. Certo, come sempre. Ma di norma sempre è quando mandi avanti la tua vita normale fino a un attimo prima preoccupandoti del mutuo, non quando passi le giornate a difenderti dalla pandemia del secolo e ti svegli ogni mattina pensando “belìn, che assurdo anno di merda”.
Sempre è quando finisci in ospedale e non devi augurarti che in ospedale ci sia posto e che i medici non abbiamo bisogno della stessa rianimazione che serve a te.
Sempre è un’altra cosa.
E dunque il 2020 è stato, nonostante tutte le cose normali che sarebbero comunque accadute, un anno straordinario. Straordinario per tutti.
Lo ricorderò per la paura di questa malattia, un timore che oscilla fra un blando e rassicurante “sono statisticamente fra quelli che ce la possono fare senza grandi patemi” e un “se sto in ospedale un mese come il mio coetaneo è una catastrofe”. (Voi non sapete perché, io sì.)
Lo ricorderò perché ho imparato a cosa servono i funerali. La morte mi ha sempre portato grande imbarazzo, oltre al dolore. Non so mai cosa dire, come dirlo, mi sento sempre fuori luogo. Non sono credente, non nel senso che intendono le religioni, e non ho un rituale da seguire, non ne ho mai sentito la necessità. Quest’anno ho capito che questo mio imbarazzo è dovuto al fatto che per me la morte non ha una forma e che un rituale è necessario per dare forma e nome alla morte. Un rituale collettivo è meglio di uno personale, condividere un lutto è una forma di protezione, di definizione. Come si saluta chi nasce c’è bisogno di salutare chi muore. No, non è importante cosa fare, è importante farlo. Quest’anno ho salutato mia zia Vincenza, mio cugino Emanuele e un nipote acquisito, Samuele, gli ultimi due decisamente troppo giovani per lasciarci. Morti normali, come direbbe Paschetto, non dovute al Covid-19, ma che non lo sono state affatto a causa della pandemia: sono state molto più difficili.
Ricorderò il primo lockdown: le strade deserte, un silenzio irreale per città come San Donato Milanese e Milano, i pranzi sul balcone a primavera inoltrata (mai fatti prima, eppure avremmo potuti farli dal 2012), le passeggiate nel quartiere per non farsi crescere le rotelle sui glutei, il lavoro da casa, una novità per me. E la didattica a distanza, una novità per tutti, insegnanti e studenti, con gli inevitabili incidenti, malintesi, difficoltà.
Ricorderò il lavarsi le mani dopo ogni uscita, cosa che facevo anche prima, ma ora con più attenzione e diligenza.
Ricorderò le mascherine, con le incertezze iniziali (Servono? Non servono? Quanto servono?) e le certezze successive (Servono!). E quindi ogni uscita ha ormai la sua mascherina d’ordinanza. Poi alcuni hanno scoperto che le mascherine vanno portate correttamente e sempre, non a singhiozzo, ma questo forse lo impareremo tutti nella prossima pandemia. Noto però che i messaggi martellanti di ATM sui mezzi pubblici servono a qualcosa, diminuendo in modo drastico l’uso scorretto di questo semplice strumento.
Ricorderò la mancanza assoluta nel supermercato, in primavera, di farina, lievito, alcool denaturato, guanti in lattice e, appunto, ogni tipo di mascherina. Non ho neanche cercato un gel disinfettante, rientrato nelle vendite solo a maggio inoltrato.
Ricorderò le file per entrare al supermercato, una novità assoluta per tutti. Poi mi sono fatto più furbo, cambiando giorno e orario.
Ricorderò le discussioni da bar su numeri, curve statistiche, epidemiologia, virologia. Chissà se qualcuno avrà con l’occasione imparato qualcosa? Io di sicuro ho imparato che fare l’epidemiologo deve essere estremamente difficile e frustrante, specie durante le pandemie.
Lo ricorderemo per alcune strane regole dei DPCM e dei suoi moduli di autorizzazione a uscire. I meme sul web si sprecano.
Ho vissuto una strana forma di solitudine, fatta di tanti contatti a distanza, ma sempre di solitudine si è trattato. Vedersi di persona spesso non serve, altre volte è di importanza vitale; ho imparato anche questo. Ho rivisto alcuni miei ex compagni di scuola, dopo molti anni. Ho cominciato a gennaio e continuato a giugno. Una cosa straordinaria due volte, se ci penso. Ma anche la vicinanza può essere un problema: vivere in casa per molti giorni con una adolescente è stato davvero difficile, per lei lo è stato ancora di più e lo sarà ancora per mesi.
Lo ricorderò per altre piccole cose, alcuni cambiamenti personali e familiari: abbiamo visto nuove serie TV, nuove categorie di video su YouTube, una ripresa della lettura, dopo una stasi iniziale, il trasloco della mia azienda, una strana vacanza estiva (troppo corta), uno stranissimo Natale, io e la Comizietta in salotto con un albero e le luci (mai fatte come quest’anno), alcune sfighe domestiche (una lavastoviglie guasta e un acquisto di un pc molto sfortunato) e molto, molto altro.
Lo ricorderò per la strana sensibilità alle notizie nefaste, come a giustificare un 2020 difficile per tante ragioni e non per una sola. Una quasi terza guerra mondiale a inizio anno, le cavallette, una tremenda esplosione e Beirut ad agosto, gli incendi in Amazzonia, California e Australia, un disastro ambientale in Kamchatka ad ottobre, terremoti vari. Lascio continuare il lavoro a ilPost che ha raccolto le prime pagine di quest’anno e altri eventi importanti.
E per finire il vaccino contro questo virus. Fatto e testato a tempo di record con tecniche rivoluzionarie. Ci ricorderemo di questo quando sarà ora di finanziare la ricerca di base? Io ingenuamente ci spero.
Molto di quanto ho raccontato e vissuto continuerà anche nel 2021, perché il 31.12.2020 è solo una data, ma inaugureremo l’anno con il levarci dall’orizzonte un presidente USA nefasto. Spero sia di buon augurio per tutti.