Ammetto, con una certa vergogna, che mi è capitato, negli anni passati, di pensare “ma cosa ne capisci tu di figli, che non ne hai!”. È un pensiero che mi ha sorpreso, trovarmelo addosso è stato imbarazzante. Io per primo ho opinioni su situazioni che non ho vissuto e non potrei vivere e ne vado molto fiero. Come potevo muovere una simile accusa ad altri?
A mia parziale discolpa c’era il fatto che quelle osservazioni non gradite erano state espresse su situazioni delicate, complesse, con una lunga storia e dal forte impatto emotivo e non avevo bisogno di qualcuno che mi desse soluzioni e punti di vista, ma forse solo comprensione e supporto emotivo.
Forse il punto non era (è) essere genitori dal punto di vista biologico, ma essersi trovati nel ruolo di genitori. Farsi carico di una persona piccola e indifesa, prenderla per mano, farla crescere e renderla autonoma. Si può essere genitori a scuola, sul lavoro, con un amico, con una adozione, un affido e chissà in quanti altri modi, anche senza avere partorito o messo incinta una donna. Forse l’altro che mi ha fatto osservazioni che mi davano tanto fastidio non condivideva la mia stessa idea di essere genitore.
Giovanna Cosenza, che non è stata madre dal punto di vista biologico, lo è stata dal punto di vista del ruolo e ha voluto condividere la sua idea di maternità (lei parla di maternità, ma la che cose che dice valgono anche per i padri). Mi sono molto ritrovato nelle suo parole, ho notato non solo una sintonia sulla teoria genitoriale, ma anche – e forse questa è la cosa fondamentale, che sulla teoria siamo bravi tutti – sulla difficoltà nel mettere in pratica questa teoria. Poche parole che mi hanno fatto pensare “non avrai partorito, ma sei una buona madre”. Lascio parlare Giovanna, che è sicuramente più brava di me con le parole.
Aggiungo un ultimo punto, un aspetto che spesso è tenuto nascosto, negato, ma che invece è necessario rendere visibile affinché non ci distrugga la vita. Essere genitori è molto faticoso, a volte ci si trova a essere genitori per caso, senza volerlo (e non solo dal punto di vista biologico). Per essere buoni genitori bisogna mettere in discussione noi stessi, bisogna smontare i propri stereotipi, e prima di smontarli bisogna riconoscerli, altra cosa difficilissima e poi a volte non ci si riesce. Si fanno i conti con le proprie debolezze e la propria impotenza, altra cosa molto frustrante. Quante volte avrei voluto una bacchetta magica per cancellare le numerose difficoltà che ha dovuto affrontare la Comizietta? Tante. E invece non c’era nessuna bacchetta magica, è stato necessario soffrire, prendere decisioni sbagliate, camminare in mezzo alla selva oscura con un Virgilio altrettanto insicuro o del tutto assente. Quante volte ho pensato “Ma chi me lo ha fatto fare?”. Queste debolezze, queste difficoltà, questi dubbi vanno espressi, esplicitati. Nulla tolgono al nostro ruolo di genitori, anzi, lo arricchiscono, lo rendono più umano e vero. Eppure è molto vivo, specie per le madri, lo stereotipo del genitore eternamente felice e grato di esserlo. Che lo è, ma non come vorrebbe lo stereotipo. Lo è a patto di avere la possibilità di esprimere la fatica, i dubbi e, se possibile, di prendersi una pausa. (Essere in due aiuta molto.)
E poi la cosa più importante di tutte, il principio zero dell’essere genitori: avere molta pazienza, soprattutto con se stessi.