Mercoledì 28.09.2022 io e la Comizietta andiamo alla manifestazione pro diritto all’aborto. Il ritrovo è sotto il Pirellone. Siamo qualche migliaio di persone. Pensavo fosse solo un piccolo presidio, invece è stata una discreta manifestazione. C’erano tante giovanissime e alcuni vecchi militanti, con i capelli bianchi.
La manifestazione è stata indetta dall’associazione Non una di meno. Chi guida il corteo usa la schwa e il neutro per essere inclusiva nei confronti di tutti, ma il suono di questi generi calati dall’alto, nel parlato, a un vecchio bacucco come me, suonano strani, oserei dire ridicoli.
Sono contento di questa partecipazione. La società non è tutta rassegnata al nuovo corso fascio leghista nazionale. C’è ancora chi vuole dire la sua in merito a come vivere in società, alle regole comuni. Certo, mi sarebbe piaciuto vedere meglio rappresentata la mia fascia di età, fra i 40 e i 60 anni, ma ogni singola presenza è significativa, mi scalda il cuore, mi commuove.
Al ritorno, al capolinea della MM3 S. Donato, sono quasi le 20 e quando usciamo mia figlia attira la mia attenzione su un senza tetto. Si sta lagnando, sulle scale, della sua situazione, ma non si capisce bene di cosa ha bisogno, chiede soldi. Ha delle brutte ferite a una gamba, delle ulcere, ha dei fogli per terra, delle ricette mediche, un tubetto quasi finito di una pomata, le bende sporche e mezze strappate. Ci fermiamo a chiedere, a capire. Anche altre due persone si fermano a chiedere e capire.
Si chiama Giuseppe (nome di fantasia), ha la barba lunga, i capelli incolti e sporchi, un’età imprecisata, il volto scavato dalla sofferenza e forse dalla fame. Penso che abbia attorno ai 45-50 anni, più o meno la mia età. Per le ulcere alla gamba è stato visitato, non abbiamo chiesto dove, ma immagino all’ospedale di S. Donato o al Policlinico. Gli sono state prescritte le medicine e gli è stata fatta una prima fasciatura, ma ovviamente va cambiata giornalmente e lui non ha i mezzi per farlo. Non capiamo perché non è stato ricoverato. I medici gli hanno detto che queste cose sono seguite ambulatorialmente. Ma come fa una persona senza fissa dimora a farsi regolarmente delle fasciature? Le medicine le ha ordinate, arriveranno domani. Dovrebbe prendere del paracetamolo, immagino per il dolore, ma non ce l’ha, quello non viene passato dal sistema sanitario, che io sappia. Non sappiamo se gli è stato detto o proposto di rivolgersi a qualche servizio che lo può seguire dal punto di vista medico, ma pensiamo di no.
Noi quattro che ci siamo fermati decidiamo di andare a casa, prendere quanto abbiamo in casa che gli possa servire per l’urgenza attuale, e ritornare sul posto con bende, garze, qualche vecchio maglione, qualche altro genere di conforto.
Giuseppe dice di essere diplomato come restauratore di mobili – esiste questo diploma? – e fino a quattro anni fa montava mobili per un venditore fino a quando questo venditore è fallito, suo padre è morto, la casa in cui abitava con il padre era in affitto e dopo pochi mesi si è trovato in strada, incapace di ritrovare un nuovo lavoro.
Gli do appuntamento per venerdì, sempre lì al capolinea della MM3 S. Donato.
La notte di mercoledì dormo poco e male. Come è possibile ritrovarsi così, per strada, in una città ricca come Milano? Di realtà che aiutano persone in difficoltà ce ne sono tante, io stesso finanzio Emergency e l’Opera di San Francesco, ma so che ce ne sono molte altre. Come è possibile che queste realtà non riescano a intercettare persone come Giuseppe? Mi pongo molte domande e pian piano mi accorgo di essere completamente alieno rispetto a questo mondo fatto di povertà e disperazione. Non so nulla. Non so cosa fare.
Venerdì mattina, 8:15, sempre al capolinea della MM3 di San Donato, Giuseppe sta dormendo al riparo dalla pioggia, sul marmo dell’ingresso della metropolitana. Lo sveglio. Gli ho portato altre garze e la colazione. Mezzo rincoglionito dal sonno mi ringrazia, bofonchia qualcosa. Gli do appuntamento per la sera, dopo le 18, quando ritorno dal lavoro. Alla sera è ancora sulle scale che si lamenta per chiedere l’elemosina, ancora la fasciatura mezza distrutta. È stato di nuovo visto da un medico, dice. Avrà di nuovo il controllo fra 15 giorni e non fra un mese come gli era stato detto in un primo momento. Dice che i medici gli hanno paventato l’amputazione della gamba, che dovrebbe andare in un dormitorio; ma dice che ci vogliono 3 euro al giorno, anticipati, minimo 3 giorni, quindi 9 euro, e lui non ce li ha. Non credo di poter durare a lungo ad aiutarlo in questa rincorsa all’ultima emergenza. Io passo dalle parti del capolinea della MM3 di San Donato tre volte alla settimana. Non sono in grado di fare delle medicazioni, anche se dice che lui si arrangia. Non sono in grado di valutare come sta andando la situazione.
Comincio a farmi delle domande. Perché mi sto prendendo a cuore Giuseppe? Assieme a lui, lì nel capolinea della metro, ci sono almeno altre quatto persone. Un marocchino, a detta di Giuseppe, e due tossici, di cui una ragazza incinta. Perché aiuto Giuseppe e non tutti e quattro? È solo un problema di risorse e soldi? O forse Giuseppe mi ricorda che potrei essere io al suo posto? Che una serie di disavventure familiari ed economiche possono mettere in strada chiunque, anche uno come me. Mi rispecchio nella sua situazione?
Venerdì sera, contrariamente alla mio politica di non dare soldi a queste persone, gli do i soldi per il dormitorio e i soliti beni di conforto. Ci diamo appuntamento per domenica verso le 13. Gli porterò altre bende e da mangiare e i soldi per altri tre giorni, ma questo non glielo anticipo.
Intanto nel fine settimana mi informo. Di realtà del terzo settore che seguono persone come Giuseppe ce ne sono veramente tante. Una amica immaginaria, come la chiamo io visto che frequentiamo lo stesso social network e non ci vediamo così spesso come fanno gli amici reali, mi indirizza verso un contatto del Progetto Arca. Questa associazione fa tutto quello che servirebbe a Giuseppe. Ora c’è da capire come farlo entrare nei loro programmi. Il contatto mi dice di contattare il Centro Sammartini del comune di Milano, la struttura pubblica che si occupa di questi casi e fa da coordinamento. Mi sembra un’ottima notizia.
Alle 13 di domenica 2 ottobre io e la Comizietta siamo al capolinea della MM3 di San Donato, come concordato. Ci sono i due tossici, ci sono alcune cose di Giuseppe, ma lui non c’è. Aspettiamo, giriamo, chiediamo, ma non c’è. Gli lasciamo da mangiare affianco alle sue cose e un biglietto. Ripasseremo alle 18.
Lo ritroviamo alle 18, sulle scale che piange e si dispera per la fasciatura distrutta e le ferite. Lo calmiamo, gli diamo altre garze e altri vestiti che io non uso più. Se li divideranno i senza tetto che stazionano lì. Mi racconta che lui ha già incontrato il centro Sammartini e l’associazione Arca. Che il dormitorio dove va lo gestisce quella associazione. Ma l’indirizzo e la zona che mi dà non corrispondono alle cose che trovo sul web, scoprirò poi. Che il centro gli ha proposto di andare in Valtellina, a Morbegno, dove c’è una struttura che fa per lui, ma non sapeva come arrivarci. Che ha parlato, nel dormitorio, con un certo Edoardo, del centro Sammartini, e che la proposta è ancora valida. Io rimango perplesso. Non si fa problemi a girare in metropolitana senza biglietto, che cosa può rischiare ad andare in treno fino a Morbegno con lo stesso sistema? Ma anche: come fa uno con una gamba malata, denutrito e demoralizzato intraprendere da solo un simile viaggio? È possibile che un centro che si occupa di questi problemi non tenga conto di queste difficoltà? Ancora una volta non so se Giuseppe è confuso, ha capito male, o mi mente. Non so se invece queste pratiche sono normali e hanno un senso, come forse hanno senso i 3 euro del dormitorio che si chiedono agli avventori. Ancora una volta io mi trovo fuori da questo mondo, sono un completo alieno. Mi sento completamente inadeguato.
La mia idea è di pagargli il dormitorio e dargli assistenza fino a quando non sarò sicuro che qualcuno, qualche associazione o i servizi pubblici, lo prenderà in carico. Penso che se opportunamente incoraggiato e aiutato Giuseppe possa uscirne. Mi rendo anche conto che la mia valutazione potrebbe essere completamente errata. Dopo tutto ho letto che, per i senza tetto, riprendere una vita normale non è così semplice come potrebbe sembrare. Come è traumatico finire per strada, potrebbe essere traumatico uscirne. Sono paradossi che capitano anche a chi è stato in carcere per lungo tempo e ha finito la pena. Fino a oggi l’ho sentito solo raccontato da altri. Con Giuseppe questo paradosso lo vivrò più da vicino? Inoltre lo stesso Giuseppe è ben conscio che indurre pietà è l’unico modo per sopravvivere e ricevere il minimo indispensabile per la giornata. Che abbia trovato il mio punto debole e lo sfrutti? Sono pensieri scomodi, ma inevitabili.
Lunedì 3 ottobre 2022, ore 8:15. Incontro Giuseppe al solito capolinea della MM3 di San Donato. Gli ho portato una brioche e una bottiglia d’acqua. Vorrebbe anche altri soldi per mangiare, ma ho solo 30 centesimi. Grazie. Prego. Ci salutiamo, ci diamo appuntamento nel pomeriggio, che gli dovrò dire se sono riuscito a chiamare il centro Sammartini.
Dal lavoro chiamo al telefono il centro Sammartini per quattro volte, due al mattino e due al pomeriggio. Nessuno mi risponde. A questo punto mando una mail. Non credo che potrò pretendere una risposta prima di 24 ore. Dovrò attendere, pazientare, con i miei dubbi e con le esigenze di Giuseppe.
La mia idea, in attesa degli eventi, è di accompagnare Giuseppe in dormitorio. Così almeno evito di dare i soldi a lui e mi sincero che al dormitorio ci arrivi. Magari ne approfitto per farci altre quattro chiacchiere. Per capire meglio cosa sta succedendo realmente.
Non succederà nulla di tutto questo. Il Centro Sammartini mi chiama e dice che deve essere Giuseppe ad andare da loro. Però comunque manderanno qualcuno sul posto per le medicazioni. Ma da quel giorno Giuseppe non lo incontro più. Per un po’ di giorni riconosco le sue cose nel solito mosto al capolinea della metro, ma lui, quando passo io, non c’è. Poi spariranno anche le sue cose. Dopo pochi giorni non ci sarà più nessuno di quelli che avevo incontrato. Non so nulla di loro, di cosa sia successo, se si sono semplicemente spostati o se hanno trovato il modo di farsi aiutare.