Archive for novembre 2022

[film] The Menu (con spoiler, forse)

sabato 26 novembre 2022

Titolo: The Menu
Regista: Mark Mylod
Sceneggiatura: Seth Reiss e Will Tracy
Attori: Ralph Fiennes (Julian Slowik); Anya Taylor-Joy (Margot); Nicholas Hoult (Tyler)
Altro: Paese: USA; Anno: 2022; 106 minuti; direzione del doppiaggio: Maura Vespini

Voto: 7/10

Fonte dati: Antonio Genna.

Dopo 1059 giorni ritorno al cinema. Ci sono andato senza sapere nulla del film, che l’ha scelto la mia amica Ste, a parte il titolo, che non dice molto. E secondo me è importante andare a vederlo senza sapere nulla. Sarà una commedia divertente o un’avventura di fantascienza? Sarà un dramma o un giallo? Se non avete problemi con i vari generi di film, fermatevi qui e andate a vederlo puri e ignari.

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Il film comincia con una coppia, Tyler e Margot, che si appresta ad andare in un ristorante particolare, gestito da uno chef molto famoso, Julian Slowik, che fa una cucina “molecolare” e concettuale. Il ristorante è su un’isola su cui si coltiva, si pesca e alleva tutto quello che si mangia e la squadra dello chef è composta più da monaci della ristorazione che da dipendenti. Tutti vivono sull’isola e lavorano ogni giorno per dare il meglio in questa impresa. I prezzi sono ovviamente adeguati alla particolarità del luogo e alla reputazione dello chef e solo 12 invitati al giorno raggiungono l’isola.

Però ben presto ci si accorge che gli invitati non sono lì per caso e che lo chef ha raccolto su di loro ogni genere di informazione. Solo una invitata è fuori posto, Margot, la compagna di Tyler. Lei infatti sostituisce la precedente compagna di Tyler. E ben presto gli invitati si accorgono che non possono andare via dall’isola prima della fine del pranzo. Sono di fatto sotto sequestro. Non arrivate a metà tempo che quello che sembra una tranquilla commedia diventa un triller/horror psicologico. Cosa cerca lo Chef? Che intenzioni ha? Come finirà un pranzo che è un sequestro di persona? Anche se non è difficile indovinare il finale, almeno nelle sue linee generali, il film tiene e si esce dal cinema leggermente inquieti.

Buona visione!

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WordPress -> Mastodon

sabato 12 novembre 2022

Come scrivevo qualche giorno fa, mi sono iscritto a mastodon.uno. Per fare in modo di avere pubblicati lì i link dei post che faccio qui ho seguito questa guida (grazie a Corax):

Pubblicare contenuti su Mastodon da un Feed RSS con IFTTT

A integrazione di quanto scritto lì, aggiungo che una volta creata l’applicazione su mastodon, per ricavare il token di accesso bisogna ritornare sullo stesso menu di creazione dell’applicazione e selezionare il nome dell’applicazione creata. Nella pagina web che vi si aprirà avrete tutti i dati e i codici dell’applicazione che possono servirvi, fra qui il token di accesso.

L’altra cosa che segnalo è che il tag <br> nel body nella configurazione di IFTTT non viene interpretato come dice l’autore (forse nel frattempo è cambiato qualcosa). Vi comparirà il testo <br> e le linee non andranno a capo. Io ho messo un più normale %20 (lo spazio). Fate delle prove e vedete come vi piace di più, ma le istruzioni sono fatte molto bene e sono molto utili.

Giuseppe

sabato 12 novembre 2022

Mercoledì 28.09.2022 io e la Comizietta andiamo alla manifestazione pro diritto all’aborto. Il ritrovo è sotto il Pirellone. Siamo qualche migliaio di persone. Pensavo fosse solo un piccolo presidio, invece è stata una discreta manifestazione. C’erano tante giovanissime e alcuni vecchi militanti, con i capelli bianchi.

La manifestazione è stata indetta dall’associazione Non una di meno. Chi guida il corteo usa la schwa e il neutro per essere inclusiva nei confronti di tutti, ma il suono di questi generi calati dall’alto, nel parlato, a un vecchio bacucco come me, suonano strani, oserei dire ridicoli.

Sono contento di questa partecipazione. La società non è tutta rassegnata al nuovo corso fascio leghista nazionale. C’è ancora chi vuole dire la sua in merito a come vivere in società, alle regole comuni. Certo, mi sarebbe piaciuto vedere meglio rappresentata la mia fascia di età, fra i 40 e i 60 anni, ma ogni singola presenza è significativa, mi scalda il cuore, mi commuove.

Al ritorno, al capolinea della MM3 S. Donato, sono quasi le 20 e quando usciamo mia figlia attira la mia attenzione su un senza tetto. Si sta lagnando, sulle scale, della sua situazione, ma non si capisce bene di cosa ha bisogno, chiede soldi. Ha delle brutte ferite a una gamba, delle ulcere, ha dei fogli per terra, delle ricette mediche, un tubetto quasi finito di una pomata, le bende sporche e mezze strappate. Ci fermiamo a chiedere, a capire. Anche altre due persone si fermano a chiedere e capire.

Si chiama Giuseppe (nome di fantasia), ha la barba lunga, i capelli incolti e sporchi, un’età imprecisata, il volto scavato dalla sofferenza e forse dalla fame. Penso che abbia attorno ai 45-50 anni, più o meno la mia età. Per le ulcere alla gamba è stato visitato, non abbiamo chiesto dove, ma immagino all’ospedale di S. Donato o al Policlinico. Gli sono state prescritte le medicine e gli è stata fatta una prima fasciatura, ma ovviamente va cambiata giornalmente e lui non ha i mezzi per farlo. Non capiamo perché non è stato ricoverato. I medici gli hanno detto che queste cose sono seguite ambulatorialmente. Ma come fa una persona senza fissa dimora a farsi regolarmente delle fasciature? Le medicine le ha ordinate, arriveranno domani. Dovrebbe prendere del paracetamolo, immagino per il dolore, ma non ce l’ha, quello non viene passato dal sistema sanitario, che io sappia. Non sappiamo se gli è stato detto o proposto di rivolgersi a qualche servizio che lo può seguire dal punto di vista medico, ma pensiamo di no.

Noi quattro che ci siamo fermati decidiamo di andare a casa, prendere quanto abbiamo in casa che gli possa servire per l’urgenza attuale, e ritornare sul posto con bende, garze, qualche vecchio maglione, qualche altro genere di conforto.

Giuseppe dice di essere diplomato come restauratore di mobili – esiste questo diploma? – e fino a quattro anni fa montava mobili per un venditore fino a quando questo venditore è fallito, suo padre è morto, la casa in cui abitava con il padre era in affitto e dopo pochi mesi si è trovato in strada, incapace di ritrovare un nuovo lavoro.

Gli do appuntamento per venerdì, sempre lì al capolinea della MM3 S. Donato.

La notte di mercoledì dormo poco e male. Come è possibile ritrovarsi così, per strada, in una città ricca come Milano? Di realtà che aiutano persone in difficoltà ce ne sono tante, io stesso finanzio Emergency e l’Opera di San Francesco, ma so che ce ne sono molte altre. Come è possibile che queste realtà non riescano a intercettare persone come Giuseppe? Mi pongo molte domande e pian piano mi accorgo di essere completamente alieno rispetto a questo mondo fatto di povertà e disperazione. Non so nulla. Non so cosa fare.

Venerdì mattina, 8:15, sempre al capolinea della MM3 di San Donato, Giuseppe sta dormendo al riparo dalla pioggia, sul marmo dell’ingresso della metropolitana. Lo sveglio. Gli ho portato altre garze e la colazione. Mezzo rincoglionito dal sonno mi ringrazia, bofonchia qualcosa. Gli do appuntamento per la sera, dopo le 18, quando ritorno dal lavoro. Alla sera è ancora sulle scale che si lamenta per chiedere l’elemosina, ancora la fasciatura mezza distrutta. È stato di nuovo visto da un medico, dice. Avrà di nuovo il controllo fra 15 giorni e non fra un mese come gli era stato detto in un primo momento. Dice che i medici gli hanno paventato l’amputazione della gamba, che dovrebbe andare in un dormitorio; ma dice che ci vogliono 3 euro al giorno, anticipati, minimo 3 giorni, quindi 9 euro, e lui non ce li ha. Non credo di poter durare a lungo ad aiutarlo in questa rincorsa all’ultima emergenza. Io passo dalle parti del capolinea della MM3 di San Donato tre volte alla settimana. Non sono in grado di fare delle medicazioni, anche se dice che lui si arrangia. Non sono in grado di valutare come sta andando la situazione.

Comincio a farmi delle domande. Perché mi sto prendendo a cuore Giuseppe? Assieme a lui, lì nel capolinea della metro, ci sono almeno altre quatto persone. Un marocchino, a detta di Giuseppe, e due tossici, di cui una ragazza incinta. Perché aiuto Giuseppe e non tutti e quattro? È solo un problema di risorse e soldi? O forse Giuseppe mi ricorda che potrei essere io al suo posto? Che una serie di disavventure familiari ed economiche possono mettere in strada chiunque, anche uno come me. Mi rispecchio nella sua situazione?

Venerdì sera, contrariamente alla mio politica di non dare soldi a queste persone, gli do i soldi per il dormitorio e i soliti beni di conforto. Ci diamo appuntamento per domenica verso le 13. Gli porterò altre bende e da mangiare e i soldi per altri tre giorni, ma questo non glielo anticipo.

Intanto nel fine settimana mi informo. Di realtà del terzo settore che seguono persone come Giuseppe ce ne sono veramente tante. Una amica immaginaria, come la chiamo io visto che frequentiamo lo stesso social network e non ci vediamo così spesso come fanno gli amici reali, mi indirizza verso un contatto del Progetto Arca. Questa associazione fa tutto quello che servirebbe a Giuseppe. Ora c’è da capire come farlo entrare nei loro programmi. Il contatto mi dice di contattare il Centro Sammartini del comune di Milano, la struttura pubblica che si occupa di questi casi e fa da coordinamento. Mi sembra un’ottima notizia.

Alle 13 di domenica 2 ottobre io e la Comizietta siamo al capolinea della MM3 di San Donato, come concordato. Ci sono i due tossici, ci sono alcune cose di Giuseppe, ma lui non c’è. Aspettiamo, giriamo, chiediamo, ma non c’è. Gli lasciamo da mangiare affianco alle sue cose e un biglietto. Ripasseremo alle 18.

Lo ritroviamo alle 18, sulle scale che piange e si dispera per la fasciatura distrutta e le ferite. Lo calmiamo, gli diamo altre garze e altri vestiti che io non uso più. Se li divideranno i senza tetto che stazionano lì. Mi racconta che lui ha già incontrato il centro Sammartini e l’associazione Arca. Che il dormitorio dove va lo gestisce quella associazione. Ma l’indirizzo e la zona che mi dà non corrispondono alle cose che trovo sul web, scoprirò poi. Che il centro gli ha proposto di andare in Valtellina, a Morbegno, dove c’è una struttura che fa per lui, ma non sapeva come arrivarci. Che ha parlato, nel dormitorio, con un certo Edoardo, del centro Sammartini, e che la proposta è ancora valida. Io rimango perplesso. Non si fa problemi a girare in metropolitana senza biglietto, che cosa può rischiare ad andare in treno fino a Morbegno con lo stesso sistema? Ma anche: come fa uno con una gamba malata, denutrito e demoralizzato intraprendere da solo un simile viaggio? È possibile che un centro che si occupa di questi problemi non tenga conto di queste difficoltà? Ancora una volta non so se Giuseppe è confuso, ha capito male, o mi mente. Non so se invece queste pratiche sono normali e hanno un senso, come forse hanno senso i 3 euro del dormitorio che si chiedono agli avventori. Ancora una volta io mi trovo fuori da questo mondo, sono un completo alieno. Mi sento completamente inadeguato.

La mia idea è di pagargli il dormitorio e dargli assistenza fino a quando non sarò sicuro che qualcuno, qualche associazione o i servizi pubblici, lo prenderà in carico. Penso che se opportunamente incoraggiato e aiutato Giuseppe possa uscirne. Mi rendo anche conto che la mia valutazione potrebbe essere completamente errata. Dopo tutto ho letto che, per i senza tetto, riprendere una vita normale non è così semplice come potrebbe sembrare. Come è traumatico finire per strada, potrebbe essere traumatico uscirne. Sono paradossi che capitano anche a chi è stato in carcere per lungo tempo e ha finito la pena. Fino a oggi l’ho sentito solo raccontato da altri. Con Giuseppe questo paradosso lo vivrò più da vicino? Inoltre lo stesso Giuseppe è ben conscio che indurre pietà è l’unico modo per sopravvivere e ricevere il minimo indispensabile per la giornata. Che abbia trovato il mio punto debole e lo sfrutti? Sono pensieri scomodi, ma inevitabili.

Lunedì 3 ottobre 2022, ore 8:15. Incontro Giuseppe al solito capolinea della MM3 di San Donato. Gli ho portato una brioche e una bottiglia d’acqua. Vorrebbe anche altri soldi per mangiare, ma ho solo 30 centesimi. Grazie. Prego. Ci salutiamo, ci diamo appuntamento nel pomeriggio, che gli dovrò dire se sono riuscito a chiamare il centro Sammartini.

Dal lavoro chiamo al telefono il centro Sammartini per quattro volte, due al mattino e due al pomeriggio. Nessuno mi risponde. A questo punto mando una mail. Non credo che potrò pretendere una risposta prima di 24 ore. Dovrò attendere, pazientare, con i miei dubbi e con le esigenze di Giuseppe.

La mia idea, in attesa degli eventi, è di accompagnare Giuseppe in dormitorio. Così almeno evito di dare i soldi a lui e mi sincero che al dormitorio ci arrivi. Magari ne approfitto per farci altre quattro chiacchiere. Per capire meglio cosa sta succedendo realmente.

Non succederà nulla di tutto questo. Il Centro Sammartini mi chiama e dice che deve essere Giuseppe ad andare da loro. Però comunque manderanno qualcuno sul posto per le medicazioni. Ma da quel giorno Giuseppe non lo incontro più. Per un po’ di giorni riconosco le sue cose nel solito mosto al capolinea della metro, ma lui, quando passo io, non c’è. Poi spariranno anche le sue cose. Dopo pochi giorni non ci sarà più nessuno di quelli che avevo incontrato. Non so nulla di loro, di cosa sia successo, se si sono semplicemente spostati o se hanno trovato il modo di farsi aiutare.

Comunicazione col trascendente

sabato 12 novembre 2022

Feci le elementari seguendo un metodo di studio sperimentale, che si discostava molto da quello canonico con il sussidiario. Io non ebbi un sussidiario, ma avevamo una mini biblioteca di classe. All’epoca c’era il maestro (maestra, nel mio caso) unico, ma le nostre cinque sezioni si scambiavano le insegnanti. Si facevano riunioni fra classi per discutere di argomenti vari. Dei lavori collettivi e individuali le insegnanti e gli alunni ciclostilavano a scuola, nel pomeriggio, (le fotocopie erano un lusso) le copie da distribuire a tutti. Ho ancora buona parte di questi fascicoli. Uno di questi ha come frontespizio [fra parentesi quadra le mie integrazioni e omissioni]:

SCUOLA ELEMENTARE STATALE DI [omissis]

IL NOSTRO 2° LIBRO DI ANTROPOLOGIA
I BISOGNI DELL’UOMO
NELLA NOSTRA SOCIETÀ

• NUTRIRE IL PROPRIO CORPO
• COSTRUIRE E UTILIZZARE STRUMENTI
• CONOSCERE
• COMUNICARE

IL CICLOSTILATO È FRUTTO DEI DIBATTITI E DEI LAVORI INDIVIDUALI E DI GRUPPO DELLE CLASSI IVC E IVE.
Ins. [omissis] [Nora] [Jole]

[AS 1979-1980]

La mia insegnante e la sua collega della sezione accanto erano dichiaratamente atee, eppure molto sensibili al tema religioso. Uno dei nostri dibattiti si è concentrato sulla “comunicazione col trascendente”, ovvero con Dio. Dall’anno scolastico e dal testo si deduce che l’incontro avvenne il 28/02/1980. Il mio intervento, mi trovate come il Comizietto verso la fine, testimonia la mia precoce propensione all’ateismo. In realtà il mio percorso religioso fu tutt’altro che lineare, ma in quell’unico intervento – avevo nove anni – è descritto il mio futuro e, come dire?, la mia filosofia di vita, quell’essere San Tommaso che deve verificare tutto, ma in modo scientifico. Non stupisce, con gli occhi di oggi, il mio aver studiato fisica.

Il testo mi sembra una bella testimonianza storica e anche per questo lo pubblico.

Ecco cosa si diceva in una classe delle elementari del 1980. Buona lettura.

COMUNICAZIONE COL TRASCENDENTE

Premessa delle insegnanti

Nell’esaminare i vari tipi di comunicazione abbiamo potuto osservare che i bambini erano molto sensibili a notare tutte le sfumature che rendevano le comunicazioni diverse le une dalle altre. Gli schemi che sono serviti da struttura di lavoro sono scaturiti dalle discussioni e si sono poi sostanziati nei lavori di gruppo e individuale che qui vengono riportati.
Abbiamo notato però l’assoluta mancanza da parte dei bambini di accenni al rapporto comunicativo con il trascendente. Un solo alunno ha parlato dell’esame di coscienza a proposito della comunicazione con se stesi, certamente influenzato dall’educazione catechistica che sta ricevendo in attesa di fare la Ia Comunione. Nessuno insomma, nonostante riceva una educazione religiosa, aveva pensato che il rapporto con “Dio” potesse costituire una forma di comunicazione di tipo particolare, come non riteneva “conoscenza” le nozioni che al riguardo gli venivano fornite.
Per favorire questo processo di autocoscienza, abbiamo stimolato con queste parole di dibattito sulla conoscenza trascendentale.
Jole: Voi, normalmente, intrattenete un tipo di rapporto e di comunicazione particolare che finora nelle discussioni non è emerso. Questa comunicazione porta ad una conoscenza che è diversa da quelle che accumulate nel modo normale. A cosa ci riferiamo?
Matteo: Alla comunicazione con Dio.
Jole: Come comunicate con Dio?
Sandro: Attraverso la preghiera.
Simona: Andando in Chiesa.
Matteo: Facendo i “bravi” e amando il prossimo.
Paola: Seguendo i comandamenti di Dio.
Jole: Quando vi capita di comunicare con Dio?
Donatella: La domenica perché è il giorno del Signore.
Rosella: quando mi trovo in difficoltà.
Valentina: Quando mi si è rotto l’orologio e speravo di ripararlo senza che la mamma se ne accorgesse. (Fulvio ha un’esperienza simile.)
Simona: la sera e la mattina.
Matteo: Tutti i giorni.
Angelo: Quando stiamo facendo catechismo.
Simona e Stefi: Quando qualche persona cara è in pericolo.
Paola: Quando temo di ricevere un castigo.
Sandro: Ho saputo che i monaci Cistercensi pregano tutto il giorno: penso che debbano avere una grande fede per farlo.
Fulvio: A me è capitato di confessare una cosa alla mamma, perché non facendolo mi sentivo di non avere la coscienza a posto né con lei, né con Dio.
Valentina: Io quando faccio qualcosa in contrasto con quello che ci insegna Dio, mi sento colpevole.
Stefi: Al catechismo insegnano che quando si riceve un’offesa, si deve porgere l’altra guancia; io a volte lo faccio, ma sono scema perché nessuno lo fa (molti sghignazzano): quando però non lo faccio, mi sento in colpa.
Jole: Da quanto ho potuto ascoltare finora devo notare che la vostra religione è piuttosto formale (cioè esteriore, che si limita ad alcune pratiche fatte più per abitudine che per altro). Mi sembra anche che sia un po’ utilitaria: cioè vene servite nel momento del bisogno.
Donatella: A proposito del perdono, io a volte lascio perdere perché non ho voglia di arrabbiarmi, altre volte però lo faccio proprio perché voglio bene a Dio.
Simona: Io trovo che Donatella, grande e grossa com’è è molto buona: potrebbe vendicarsi e non lo fa.
Nora: Voi credete in Dio perché ve l’hanno insegnato. Chi è stato il primo uomo che ha creduto in Dio? Perché l’ha fatto?
Fulvio: Perché Dio gli ha parlato.
Sandro: Perché lo ha sentito dentro di sé.
Jole: Tu lo senti qualche volta?
Sandro: Io sì veramente, quando ho commesso qualcosa in contrasto con quello che Dio ci insegna, e allora chiedo perdono. C’è anche lo “zampino” del mio pensiero a spingermi a farlo: però credo che Dio mi parli.
Volevo fare un’altra osservazione sul problema di perdonare quelli che ci prendono in giro o ci stuzzicano: ho capito che si guadagna di più a lasciar perdere perché così loro non ci provano più gusto e smettono.
Nora: Noi, parlando di Dio, pensiamo al Dio dei Comandamenti. Prima di Mosè che li ha ricevuti sul monte Sinai, gli uomini credevano lo stesso in qualcosa?
Tutti: Credevano in tanti dei (politeismo): le prime civiltà avevano dei per ogni necessità. Tutti credevano in qualcosa. (Stefi.)
Nora: questi Dei com’erano?
Sandro: Belli, forti, assomigliavano agli uomini, ma a volte a certi animali; avevano più poteri degli uomini, erano immortali e gli uomini credevano in loro come noi crediamo oggi nel nostro Dio. Erano Dei che avevano un corpo.
Jole: Anche Gesù, pur essendo Dio, è stato un uomo e quindi ha avuto il corpo che poi è stato assunto in cielo. Cosa succede nell’eucarestia[?]
Fulvio: Si mangia l’ostia che è fatta di farina, sale ed è senza lievito.
Jole: Ma la religione ti dice che dopo che è stata consacrata, l’Ostia diventa il corpo e il sangue di Gesù Cristo e quindi tu mangi il corpo di Dio.
il Comizietto: Non si è mai fatta l’analisi per vedere e diventava veramente carne e sangue di Cristo?
Simona: Per i credenti è così, anche senza analisi.
Stefi: L’Ostia è il cibo dell’anima.

(Prima di battere a macchina questa conversazione del 28 febbraio [1980], la facciamo sentire a Matteo (omissis) che era assente per conoscere anche il suo parere. Ecco quello che ci ha detto:

Matteo2: La religione non è solo un contatto con Dio quando ci fa comodo per poi dimenticarlo; non è come una scopa che si usa per spazzare e quando si ha finito si rimette nello sgabuzzino. Alla religione si deve pensare in tutte le occasioni, altrimenti non si è un buon fedele. Quindi non si deve andare in Chiesa solo la domenica o per pregare se si rompe l’orologio: si deve chiedere aiuto per noi quando ne abbiamo bisogno, ma anche per gli altri. Prego Dio anche per i doni che mi ha dato, per una bella giornata, per un evento felice, ecc.[)]
Simona: La religione per un cristiano deve essere sempre presente perché è la sua vita; invece lei (a Jole) che è atea in Chiesa ci va solo per vedere le belle cose che ci sono. Per un vero credente la Chiesa vale più della famiglia.
Jole: È vero, io vado in Chiesa ad ammirare i bei quadri o ad ascoltare della buona musica perché la religione, quando è sincera, può ispirare sentimenti molto nobili e opere d’arte che meritano d’essere conosciute. Del resto io ammiro tutte le cose belle fatte dall’uomo, sia che si tratti di un credente sia che si tratti di un non credente. Ammiro naturalmente anche la natura. È questa la mia religione: credo nell’uomo e in quello che può fare di bello e di buono, ma anche in altre cose che qui non sto a ripetervi.

L’approfondimento del tema viene rimandato ai prossimi mesi nel corso dei quali questo aspetto culturale verrà esaminato in parallelo con gli altri nel confronto fra culture diverse.

[comizi altrui] Naufraghi, migranti, persone

giovedì 10 novembre 2022

Da l’Essenziale:

Naufraghi, migranti, persone
di Annalisa Camilli

[podcast] Zaynab, una calciatrice in fuga dai taliban

giovedì 10 novembre 2022

Segnalo il podcast Zaynab, una calciatrice in fuga dai taliban di Internazionale, scritto e narrato da Stefano Liberti.

Nel raccontare le straordinarie vicissitudini per tentare di portare in Italia Zaynab, suo sorella Maryam e i relativi familiari, Liberti ci fa toccare con mano le numerose contraddizioni della situazione afgana.

L’occupazione occidentale da un lato ha permesso molte libertà civili altrimenti impossibili, ma dall’altro ha umiliato un intero popolo con spionaggi indiscriminati e non riconoscendo la parte più conservativa e radicale dell’Afghanistan, impedendo qualsiasi cammino di integrazione ed evoluzione. Quando gli occidentali, ad agosto 2021, si sono ritirati, i Talebani hanno preso il potere molto rapidamente. Quanto fatto dagli occidentali poggiava tutto sulla sabbia.

Oggi i talebani sono spaccati: i giovani, vissuti nell’era della globalizzazione, di internet, dei viaggi all’estero, sono più possibilisti sulle libertà personali. Ci sono poi i talebani anziani, con in mente solo la sharia interpretata nel modo più restrittivo possibile. (Stanno comandando i secondi.) C’è la popolazione delle città abituata a uno stile di vita occidentale. E poi: nessuno stato occidentale ha riconosciuto il regime talebano, gran parte delle risorse monetarie afgane sono state sequestrate dagli USA. Il paese è economicamente bloccato.

Dall’ascolto del podcast deduco che di suo l’afgano medio è un compagnone e amicone: i talebani che ti ospitano, che ti danno da mangiare di giorno anche se c’è il Ramdan, perché voi non siete musulmani, che ti vogliono insegnare la loro lingua, che si vogliono fare i selfie con te, che vogliono essere intervistati, per dire “io ci sono”. Eppure una parola errata, uno sgarbo, andare dove non si deve, fare domande a persone sbagliate al momento sbagliato e si rischia la vita. Ci sono persone generose e coraggiose, come l’allenatore della squadra di calcio femminile di Herat. Persone tossiche e pericolose come il marito di Zaynab. Donne determinate, come Zaynab e Maryam. E tanto altro.

Buon ascolto.
(Attenzione: alto tasso di commozione.)

[libro] Maigret e il ladro

giovedì 10 novembre 2022

Autore: Georges Simenon
Titolo: Maigret e il ladro (Le voleur de Maigret)
Eitore: Mondadori
Altro: p.196; genere: giallo; I ed orig. 1967; questa edizione: 1981; collezione Oscar Gialli Mondadori 1392; traduzione di Laura Gaurino

Voto: 7/10

Colpisce la serafica calma di Maigret, a cui viene rubato il portafoglio e il distintivo sull’autobus da un borseggiatore. È primavera, una primavera frizzantina e calda e Maigret non vuole rovinare il suo buon’umore con le piccole sfortune della vita. Il portafoglio ritornerà presto nella sua tasca, ma assieme al portafoglio arriverà il ladro, un aspirante regista e sceneggiatore, e un nuovo caso da risolvere. Maigret non fa ipotesi, raccoglie fatti, esamina gli animi umani degli amici e parenti del ladro, ladro che lascia a piede libero, e aspetta, aspetta fino a quando tutti i pezzi non si incastrano.

Nell’attesa si mangia parecchio. Mi ha colpito l’usanza di alternare piatti sostanziosi di pesce e carne, con abbondanti annaffiature alcoliche. A fine anni ’60 evidentemente non avevano problemi di digestione.

Un giallo veloce da leggere e divertente.

Buona lettura!

Mastodon

sabato 5 novembre 2022

Sono 15 anni oggi che ho il blog e mi sono iscritto a Mastodon senza sapere nulla. Verso l’ignoto e oltre.

[libro] Metà P – Metà S

sabato 5 novembre 2022

Autori: Frederik Pohl, Lucius Shepard
Titolo: Metà P – Metà S
Editore: Mondadori – Urania
Altro: Urania 1190, 18.10.1992; genere: fantascienza; Traduzione di Marco Pinna; I ed. orgig. 1990; editoriale di Giuseppe Lippi “Urania dagli anni ’50 agli anni ’90”

Voto: 7/10 e 6/10

Questo numero di Urania è composto da due romanzi brevi usciti in origine nel 1990: Outnumbering the Dead di Pohl e Kalimantan di Shepard, da cui il titolo italiano metà P(ohl) e metà S(hepard).

Nel primo romanzo si pone una interessante questione. Nei racconti si parla di quello che succede a essere immortale fra i mortali – vedi Hghlinder o in un modo più originale Robot NDR113 di Asimov – ma cosa succede se si è mortale quando tutti sono immortali? È quello che succede a Rafiel, famoso attore in un mondo in cui la morte sembra essere un evento eccezionale: in lui l’operazione di immortalità è fallita e quindi, anche se avrà una vita lunga, sarà comunque finita. E cosa fa e come vive una umanità in crescita incontrollata?

Il secondo romanzo invece ci porta in oriente, nell’isola indonesiana del Kalimantan, a metà degli anni ’70. Un truffatore di piccolo calibro (Barnett) e un americano in difficoltà, Curtis MacKinnon, si incontrano dopo eventi quanto mai rocamboleschi e diventano amici. MacKinnon, inseguito dalla malavita e da petrolieri senza scrupoli, viene salvato da Barnett, che lo nasconde in mezzo alla foresta dell’isola. Qui MacKinnon, che fra le altre cose è anche un tossicodipendente, inventa, aiutato da una stregona del luogo, una potente droga che sembra mettere in contatto il nostro mondo con un altro non meglio precisato. Sembra di avere a che fare con fantasmi, ma forse non lo sono, sembrano esserci alieni, ma non si vedono, c’è un piano malefico di MacKinnon per impossessarsi di questo altro mondo, ma ecco… succedono cose. Il finale confesso che l’ho capito poco e mi ha lasciato un po’ perplesso e questa droga che mette in contatto mondi paralleli mi ha ricordato lo stile di Philip Dick.

Chiude il volume un editoriale di Giuseppe Lippi in cui si ripercorre molto velocemente la storia della Collana.

Buona lettura!