È dal 24 febbraio che cerco di scrivere qualcosa su questa guerra. Essere poi politicamente antimilitarista e pacifista, di questi tempi, mi fa sentire come un vegano in una macelleria.
È ovvio che emotivamente non posso che parteggiare con il paese aggredito e invaso, l’Ucraina, non si può non vedere l’aggressività e la pericolosità della politica di Putin e immagino che i miei quattro lettori rimanenti non vedano l’ora di vedere l’esercito russo sconfitto dal Davide ucraino.
Ai quattro gatti che con la sola forza della parola chiedono la fine del conflitto, la ripresa della diplomazia e l’interruzione della corsa agli armamenti gli si oppone la dura verità di un avversario temibile e determinato che sta radendo al suolo una nazione intera. Il mondo, in questo conflitto, è diventato improvvisamente in bianco e nero. Di qui e di là, non solo in politica, anche in famiglia (non la mia, per fortuna). Ma stanno davvero così le cose? Non esattamente.
Che la Russia, dopo la fine dell’Unione Sovietica, fosse governata da una oligarchia molto poco democratica e attenta ai diritti civili lo si sa da sempre. I paesi europei e molti personaggi politici dei paesi democratici hanno fatto finta di nulla. I più zelanti hanno speso parole di stima per Putin e l’Unione Europea, mentre l’IPCC ci intimava di smettere di usare combustibili fossili, provvedeva al raddoppio del gasdotto proveniente dalla Russia e nulla è cambiato dopo la prima invasione del 2014. A febbraio 2022 l’Unione Europea ha scoperto improvvisamente – dopo tutto otto anni cosa sono, se non un attimo? – di essere uno dei finanziatori della Russia. Correre ai ripari ora è come smettere di fumare quando è stato diagnosticato un tumore ai polmoni. Forse è tardi e i rimedi rischiano di essere altrettanto nefasti, tipo aumentare le importazioni di gas da altri stati che non brillano proprio per democrazia e diritti civili. Ma quelli, ad oggi, non mettono a rischio la nostra pancia piena, non ancora.
Questo piccolo esempio di economia spicciola, di metano e politici poco lungimiranti, rende macroscopica la verità di un mondo che è globalmente e irrimediabilmente interconnesso, socialmente, culturalmente, economicamente e politicamente, ma è governato da politiche locali, per lo più incentrate sull’interesse immediato e la gestione del potere corrente. (Dovevamo averlo imparato con la pandemia da Sars-Cov-2, ma siamo un specie che impara poco dai suoi errori.)
Ed è qui che il pacifismo muore e rimane senza armi, per rimanere nella metafora bellica. Il pacifismo non è una medicina che si dà all’ammalato, il pacifismo è una pratica per non ammalarsi. Il pacifismo richiede lungimiranza e collaborazione mondiale, richiede di rinunciare a un poco di potere locale per un bene superiore. L’idea di una ONU un po’ meno imbolsita dell’attuale è stata un’idea di Einstein nel 1932, discussa con Freud in una discussione promossa dalla allora Società delle Nazioni. Se ne è costruita una dopo il 1945, ma con un peccato originale: la divisione del mondo secondo le logiche della Guerra Fredda. Ora questa logica non ha più ragione di esistere, ma l’ONU non è cambiata, con una manciata di paesi che hanno diritto di veto su ogni decisione comune.
Ma se non armare i contendenti, gli ucraini in particolare, può sembrare quasi una cattiveria senza senso, le attuali misure contro la Russia hanno un comune denominatore che ritrovo spesso in molti commenti giornalistici: hanno effetti imprevedibili. (Sull’armare i contendenti i rischi invece sono notissimi.) Alcune risultano colpire indiscriminatamente la popolazione russa, come un vero e proprio attacco armato. Non sappiamo quanto a lungo potremo tenere le sanzioni economiche contro la Russai. Non sappiamo il loro effetto nel medio e lungo termine, nell’immediato ci porterà a un calo del PIL e a un aumento dell’inflazione. Non sappiamo fino a che punto fermeranno la macchina bellica russa. Non sappiamo se sproneranno il popolo russo a rivoltarsi a Putin o se, viceversa, si creerà una opinione pubblica rancorosa e desiderosa di un riscatto, a discapito degli ucraini, ma anche dell’Europa. In un prossimo futuro andrà al potere uno ancora più bellicoso di Putin? Non lo sappiamo. Le armi che daremo all’Ucraina rimarranno all’esercito o saranno distribuite ai civili? E che armi stiamo dando all’Ucraina? La Russia interpreterà questa cessione come una aggressione aumentando l’estensione del conflitto? Non lo sappiamo, molto semplicemente. Un aumento della spesa militare europea porterà sicuramente due cose: sarà più facile farsi la guerra e toglierà le risorse a quelle iniziative che invece la guerra la rendono meno probabile e la curano: cultura, cooperazione e sanità. (Qui potete leggere quello che sta succedendo in Germania.)
Anche nel mondo scientifico, nel tempio delle cooperazione pacifica e del progresso, il CERN, questo virus divisivo ha interrotto, per motivi politici, ogni nuova cooperazione con la Russia. Quando l’ho saputo sono stato male, ho pianto.
La filosofa Donatella Di Cesare, in un intervento sul canale YT di Emergency, parla del vero dramma della guerra: la rigidità di pensiero.
Ammetto di non sapere quale sia l’intervento più efficace e sensato per mettere fine a questa guerra (e a molte altre) in tempi brevi. Sicuramente interventi non ponderati e sull’onda dell’emotività porteranno altra incertezza e quindi forse aumenteranno la probabilità di una estensione del conflitto. So invece molto bene quali sono le politiche guerrafondaie, ben rappresentate dalle destre del mondo, ma che, poco o tanto, ormai sono patrimonio indiscusso di ogni partito politico.
Sono politicamente stanco. Stanco di politiche che non si occupano del futuro della società, della sua sua salute e dei diritti degli individui. Sono stanco di politiche che hanno la lungimiranza della mezza giornata, in balia dei sondaggi e degli umori dei social. Vorrei poter dire quello che penso su questa guerra senza essere incasellato, per forza e in modo arbitrario, da qualche parte e in questi giorni mi è molto difficile.